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Spesso, passando davanti alle mura di uno stadio grande o piccolo che sia, il pensiero volge agli incontri e si immaginano le sfide che avvengono all'interno. Certamente non che una passione sportiva, il calcio per l'appunto, possa essere di vitale importanza per una persona che ne faccia una fede come un Ultrà per esempio. Useremo la penna di un angelo per raccontare in poche righe una verità, grande e dolorosa, attenuata soltanto dall'amore viscerale che, Alessandro, ultrà convinto della Massese, ha vissuto per oltre due anni e mezzo proprio lì, nella Curva Sud che oggi porta il suo nome, nello stadio di Massa, per volontà di chi, con lui e come lui, amava la sua squadra.

 

- UN RAGAZZO COME TANTI -

Cominciò a seguire la Massese ancora bambino con gente di famiglia, in tribuna, e insieme ai suoi anni cresceva la sua passione, e arrivarono le prime trasferte. Ragazzo orgoglioso e con la voglia di fare qualcosa per rendersi utile ai più grandi in curva, legò, per caso, una stretta amicizia con un altro piccolo  minore di lui di due anni, diventando il suo più grande amico. Stavano sempre insieme a cercare di fare tutto ciò che gli altri non avevano tempo di fare. Da lunedì al venerdì Alessandro frequentava la scuola come un qualsiasi ragazzo, sarebbe diventato geometra ma non lasciava mai il suo cappellino nero con lo stemma della squadra, togliendolo per rispetto, ma con lui nello zaino. Un ragazzo tranquillo pieno di vita e amante della sua famiglia, era il più grande di tre figli. Nell'Aprile del 93 un'ombra gelida investe la normalità di quel nucleo ed infrange la felicità di quel sedicenne tifoso: un male terribile dal nome sconosciuto e difficile, fionda l'esistenza di Pozzetto nel vortice del dolore. Sarebbe impossibile descrivere gli stati d'animo dei familiari ma possiamo raccontare di lui di come dal Policlinico di Pavia, nel reparto dove era stato ricoverato in attesa di conoscere la sua sorte, chiamava Stè l'amico del gruppo di cui ormai faceva parte, per dirgli dove teneva a casa gli striscioni per la domenica o gli altri accessori per la coreografia della curva: lui non avrebbe potuto essere allo stadio per quella partita. La diagnosi non gli dava molte possibilità di una guarigione veloce, ma decise che a chiunque glielo avesse chiesto, avrebbe risposto di avere un problema di ghiandole non li voleva preoccupare e soprattutto voleva difendere la sua dignità. Non avrebbe accettato atteggiamenti compassionevoli o riduzione di responsabilità, nella curva c'era e voleva rimanerci!

                                            

- INIZIA IL SUO CAMMINO -

Cominciarono i cicli di chemioterapia con gli inevitabili effetti collaterali che lo portarono nel Luglio dello stesso anno al coma ed a un risveglio di ritardo mentale da dove sembrava destinato non uscire più. I ragazzi erano sempre lì in ospedale gli amici i compagni di stadio e di scuola, ma lui non li riconosceva. Nessuno del suo gruppo della curva si è mai allontanato. Poi il miracolo del risveglio e il ritorno a casa per poche ore, prima di ripartire per la destinazione pavese dove avrebbero potuto dire se era in pericolo di vita. Prima di partire volle sapere i risultati di una amichevole, dalla bocca dei suoi. Il pericolo momentaneo era scongiurato ma la chemio continuava e con lei i suoi effetti devastanti. I controlli medici del mattino, quasi quotidiani ormai diventati un'abitudine per lui, non lo tenevano lontano dagli appuntamenti nel piazzale dello stadio al pomeriggio, avevano sempre qualcosa da decidere per la curva. Il campionato del 94 lo trova apparentemente in forma; nel gennaio gli viene sospesa ogni cura perché sta bene, dovrà fare controlli in maggio. La vita di Alessandro e dei suoi amici riprende il cammino interrotto. Lo stadio gli attenua il peso della scuola che ha ripreso a frequentare dato che vuole accontentare la sua mammma, prendendo la maturità. Nessuno conosce ancora la gravità della patologia che ha colpito questo giovane ultrà.

                                                                                                      

- RICADUTA -

L'appuntamento per i controlli coincide con il compleanno del suo amico.. ma non festeggeranno come avrebbe voluto: il male si è affacciato di nuovo, più aggressivo che mai. Non c'è scelta se vogliamo salvarlo dovrà sostenere un trapianto.- Questo il verdetto dei medici del policlinico. Cosa dirò ai miei amici? Mamma come farò, mi tocca perdere il derby della Massese- questo il suo unico vero cruccio. L'alleato di Alessandro, in quel momento, poteva essere soltanto il babbo che, d'accordo con i medici per circa otto settimane ogni sabato lo portava a casa per ripartire subito dopo la partita della domenica. E nessuno sapeva. Si può pensare alla sconsideratezza dei genitori ma volendo vedere il figlio sorridere affrontando quanto doveva, capivano del suo bisogno di essere nella sua curva: era da quel posto che, probabilmente traeva la forza per combattere il male. L'intervento da lui sostenuto lo terrà in isolamento fino ad agosto, ma il telefono destinatogli dal reparto, non smetterà mai di squillare per tenerlo informato sull'andamento del campionato. Gli venne lasciato un catetere nella vena centrale che doveva essere scrupolosamente controllato e coperto con cerotti speciali, ma all'inizio del campionato 94/95, lui varcò comunque la soglia del cancello della sua curva per risalirne le scale con il suo amico e raggiungerà gli altri per innalzare i cori che non mancano mai a sostegno della Massese. Nessuna trasferta gli sembrava troppo faticosa o lontana e, come a Livorno, proprio alla stazione, capitando situazioni incresciose e pericolose per quel cerotto, i più grandi non lo perdevano mai di vista e, discretamente, lo proteggevano. A Trieste con il freddo pungente, coinvolgendo il padre sempre disponibile ad accontentare il figlio a guidare un pulmino, con il suo gruppo sarà in curva sopra gli striscioni a tifare i bianconeri del suo cuore.

                                                                                        

- IL DECLINO SUL CAMPO -

La vita scorre piena e soddisfacente per gli ultrà della Massese, ci sono tutti e da tempo non sono costretti a stare in ansia per i ricoveri di Pozzetto il soprannome dato simpaticamente ad Alessandro per il suo appetito purtroppo ancor più sviluppato dalle dosi di cortisone ingerite. La primavera del 1995 fa di lui un maggiorenne e, per il suo compleanno, per il quale ritiene di non avere molti da invitare, la mamma gli prepara una festa a sorpresa. Era sicura che niente lo avrebbe reso più felice di avere accanto l'amico del cuore e il suo gruppo dello stadio con pochi altri. Non voleva contraddirlo ma seguendo il suo istinto gli organizzò una piccola festa a sorpresa dove, il regalo più grande, era una calorosa amicizia. Vi erano i membri di alcuni gruppi della curva ma tutti vicini ad Alessandro in un giorno di festa così importante per lui.Non venne fatta parola con nessuno, tranne Stefano, sul fatto che il giorno prima alcuni linfonodi erano comparsi sotto la gola del festeggiato, così voleva Ale. Da quel marzo l'aggravarsi del nostro ultrà, divenne inarrestabile ma nessuno era stato informato. Nell'agosto venne ricoverato per una gravissima emorragia renale dopo essere già colpito da una paresi facciale irreversibile e trasportato d'urgenza a Pavia dove riuscirono a rimetterlo in piedi per il Ferragosto; che voleva festeggiare sulla spiaggia con gli altri ed organizzare la prima trasferta degli ultrà a Como. Anche in quel momento di dolore intenso chiese al suo medico: -Mi ci manda a casa dottore? Tra un po comincia il campionato- Quel giovane medico che ormai faceva parte della sua vita, annuì ed Alessandro sembrò dimenticare le pene sofferte sino al giorno prima. Il 25 agosto, sabato, al giovane tifoso, a Massa, vennero trasfuse le prime piastrine dall'inizio della malattia. Ma comunque, la sera, nel salotto di casa, incontrò la sua ragazza in partenza per tornare a casa a Milano, e il suo gruppo, i Massa Kaos, e con loro definì gli ultimi dettagli per la trasferta a Como il giorno dopo. L'amica e compagna di scuola che li seguiva perché fidanzata con un altro tifoso, aveva ad insaputa di Alessandro la copia delle sue cartelle cliniche datele dalla mamma che, purtroppo servirono. Dopo la telefonata di Serena a casa di Ale per il buon esito del viaggio, gli ultrà massesi entrarono nel campo del Como. C'era il sole e faceva caldo Da Massa era stata richiesta un'ambulanza per ogni eventuale emergenza da lasciare sul posto ma il mezzo, al bisogno non cera più. Infatti a 27 minuti dall'inizio della partita il giovane ultrà, ebbe un leggero malore e gli altri la cercarono invano. Alcuni dei ragazzi che erano con lui a seguito dei bianconeri lo aiutarono a sdraiarsi poggiandogli il capo su di uno zaino Erano spaventati e arrabbiati ma Alessà non voleva avessero problemi; cercava di calmarli rassicurandoli mentre il pallore si accentuava sul suo volto. Ma allontanandosi da lui senza turbarlo, due o tre di loro tra i più in collera per il mancato rispetto dell'accordo sul mezzo di soccorso, non riuscirono a trattenere il risentimento e, in maniera determinata, cercarono di far pesare la precarietà della situazione sulla dirigenza della squadra di casa. Il loro amico continuava ad indebolirsi. Finalmente arriva un'ambulanza e raggiungendo l'ospedale per altro vicino allo stadio, mentre i genitori avvertiti dall'ospedale di Massa già contattati dal pronto soccorso della città lombarda, li trovarono tutti accampati fuori dal centro ospedaliero, erano molti e non tutti potevano stargli vicino. Furono accolti dall'amico del loro figlio e davanti al lui non poterono che sorridere mestamente dopo la sua frase di benvenuto. Alessandro non volle farsi ricoverare e tornò indietro in macchina con il padre e due degli ultrà per compagnia mentre la madre, sul pulmino con gli altri, disse loro tutta la verità sull amico Nessuno disse più una parola fino a casa.

                                                                                           

  - GIRO D'ONORE -

Si potrebbero raccontare ancora mille vicissitudini e sofferenze di questo sfortunato tifoso diciottenne ma ognuna riporterebbe al punto cruciale dello scopo di questo scritto: Curva Alessandro Balloni questo è il nome della curva sud dello stadio di Massa e, la targa che lo riporta inciso, è stata voluta dai tifosi e dai suoi amici come lui, a testimonianza di una fede incancellabile. Un ultimo saluto il 7 Settembre sostenendolo sulle spalle in un giro d'onore allo stadio da lui tanto amato, con le tifoserie delle squadre gemellate venute da lontano, prima di accompagnarlo alla sua ultima dimora a Forte dei Marmi dove era nato. Sopra di esso posa la riproduzione della sua curva in marmo tratta da una foto dove era presente. La passione, la fede nella sua squadra e l'amore per uno stadio di calcio hanno permesso ad un ragazzo colpito da un male che non perdona di vivere dignitosamente come aveva sempre fatto, portando i suoi colori fino in cielo, da dove ancora oggi viene raggiunto dal coro della curva che inneggia il suo nome: il miracolo per Alessandro non è di questo mondo ma nella Curva sud in pietra dello stadio di Massa. Chi verrà a tifare sulle stesse transenne dove lui con il megafono perdeva il fiato, faccia tesoro di quell angelo che, forse, vola sopra di loro ad ogni incontro.

 

- La Mamma della curva -

QUINDICI ANNI DOPO

Il 7 settembre: per molte persone un giorno come tanti, uno dei trecentosessantacinque del calendario, per altre una data con un significato particolare. Che quest'anno assume un valore speciale soprattutto per tutti i tifosi della Massese, in particolar modo quelli degli anni novanta.Sette settembre 1995  sette settembre 2010: sono passati quindici anni da quel giorno quando, nelle prime ore del mattino, si addormentava per sempre un ragazzo di 18 anni che per due anni e mezzo aveva lottato contro una malattia che non lascia scampo.Aveva occhi verdi capelli castano chiaro, alto e ben messo, ed insieme ad altri quattro colossi formavano il gruppo dei MASSA KAOS. Un fedelissimo tra gli ULTRA che frequentavano la Curva Sud dello Stadio di Massa.Si chiamava Alessandro Balloni e quella curva, dal dicembre dello stesso anno, porta il suo nome.Sono passati quindici anni da quel giorno ma molti tifosi che hanno vissuto quel periodo, ragazzi a lui vicini ora adulti ma sempre intrisi dellamore per una Massese, diversa ma sempre bianconera, chiedono di parlarne ancora. Cosa che una mamma accetta di fare rinnovando la disperazione di quei giorni, mitigata dalla presenza di tanti giovani, quei ragazzi della Curva Sud, vicino fino in fondo al loro sfortunato amico. Un ragazzo di appena sedici anni, un ULTRA convinto, aggredito da un male terribile, un problema come diceva a tutti non sapendo mai che al Policlinico di Pavia gli avevano concesso sei mesi di vita. Un ragazzo costretto a sottoporsi a cure dolorosissime ma che fino agli ultimi istanti della sua esistenza ha fatto dei colori della squadra del cuore una ragione di vita.Tante le cose da ricordare: dall'angoscia costante della sua famiglia dei vuoti patiti dal fratellino Thomas e dalla sorellina Vanessa che ignari aspettavano il ritorno del loro Tatone. Dei compagni di classe dell'istituto Geometri che gli inviavano le indicazioni sui compiti da fare che consegnavano al padre, spola tra lui e una quotidianità che dal 24 Aprile 1993 non gli apparteneva più. Non aveva voluto lasciare la sua classe Alessandro. Voleva diventare un professionista ma non voleva agevolazioni causa il suo problema. Anche la sua ragazza, il suo amico del cuore e gli amici della Curva sapevano che aveva un problema legato alle ghiandole. Così come chiunque gli chiedesse quale era il suo problema. Il gioco si era fatto duro ma la sua forza e l'amore per la Massese lo aiutavano a cercare di combattere la battaglia per la vita. Una vita segnata da biopsie invasive per la sicura diagnosi, la chemioterapia, il coma, il trapianto autologo con il breve ma inevitabile passaggio dalla dialisi per arrivare alle trasfusioni.Ma tutto questo non gli impediva di partecipare alla preparazione delle coreografie per la partita della domenica. Tutto era doloroso, tutto poteva aggravare la sua salute ma non si piegava. No, doveva sempre fare qualcosa e quindi, dopo le giornate passate in ospedale, c'erano il freddo in scooter, col rischio di prendere una polmonite, per partecipare alle riunioni e alla distribuzione dei volantini. Poi le trasferte alle quali non voleva mancare.A Trieste, a Livorno nel 1994 con un catetere nell'aorta del cuore coperto da un cerotto. A Carrara, a Sesto Giovanni contro la Pro Sesto.Era questa l'unica cosa che gli permetteva di fuggire dalla sofferenza: impegnarsi per seguire la Massese con i gruppi di sempre con i ragazzi più grandi della curva che ammirava. Ma ai quali non aveva detto che l'indispensabile perché sperava che prima o poi l'incubo sarebbe finito . E non voleva apparire debole.Così, sempre in viaggio tra un ricovero e l'altro, tra un coma e l'altro sostenuto dai suoi amici ULTRA sempre vicini. I viavai nelle sue camere con le mascherine, erano incessanti.Fino alla trasferta a Como da lui stesso organizzata. E il 26 Agosto 1995 ed il suo fisico da atleta perde le forze. Le forti braccia dei suoi compagni ULTRA lo sorreggono in mezzo al terrore degli altri presenti fedeli alla Massese ormai consapevoli della gravità: era pallidissimo!Allo'spedale di Como non accettò il ricovero: -Qualunque cosa accada- disse- voglio essere a Massa, con i miei amici. I genitori accettarono il suo volere. Il padre in macchina con lui e altri tre dei ragazzi e la madre dietro, sul pulmino con gli altri, a svelare il destino di Alessandro.Ma anche questo duro colpo non lo fece arrendere. Dall'ospedale di Massa per cellulare, in mezzo ai ragazzi che lo venivano a trovare, continuava a partecipare all'organizzare le trasferte e a scegliere le coreografie per la Curva. La sua Massese unico stimolo e forza di quei due anni e mezzo. Una trasfusione di sangue prima e di piastrine poi. Quelle piastrine appartenenti ad un gruppo raro. Tutto l'ambiente del calcio e giovanile si mosse, tutti volevano sapere se possibili donatori tanto da congestionare il pronto soccorso ematologico. Molti vinsero la paura degli aghi.  Ma non cera tempo, non cera più tempo.Le piastrine furono trovate all'ospedale di Carrara! E anche in quella drammatica situazione i ragazzi trovarono la forza di scherzare. Alessà da ora hai sangue giallo-blu nelle vene disse qualcuno degli amici. Ironia della sorte doveva combattere il derby per la vita, fin dalle sue cellule! Con un mezzo sorriso per la paresi che dal Giugno gli aveva rilassato la mandibola, incassò bonariamente.Il fiato però gli era rimasto. Venne ancora fuori, per telefono, domenica 3 Settembre per incitare la sua squadra in svantaggio con il Montevarchi.Alla fine di quella giornata e nei giorni seguenti, Alessà, detto Pozzetto continuò a ricevere nel suo letto d'ospedale la visita di ULTRA, amici e anche i giocatori della Massese andarono a salutarlo portandogli un pallone: era un grande tifoso ma volevano salutarlo come un diciottenne onorando la sua dedizione alla squadra e spronandolo a tenere duroE Alessandro tenne duro fino a quel 7 settembre quando la malattia ebbe ragione sulla sua forte fibra e se lo portò via fisicamente ma non dalla mente e dal cuore di chi lo ha conosciuto e ne ha apprezzato le doti umane oltre che la dedizione alla causa della sua Massese che ancora oggi, nessuno lo dubita, continua ad incitare da lassù, comunque da ULTRA, per sempre.

- La mamma della Curva

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